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Eletto il nuovo pastore della Chiesa Valdese di Roma via IV Novembre

2 Gennaio, 2021
Redazione
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Avvicendamento pastorale

Nell’assemblea svoltasi il 29 novembre 2020, la Chiesa Valdese di Roma via IV Novembre ha eletto il candidato alla successione pastorale Winfrid Pfannkuche, che entrerà in servizio nel luglio 2021.

Si propone di seguito un’intervista al pastore neo-eletto.

Carissimo Winfrid, cogliamo l’occasione per felicitarci nuovamente per la sua elezione a pastore titolare della Chiesa di via IV Novembre. A lei va il nostro saluto.

Vorrebbe iniziare questo colloquio raccontandoci qualcosa di lei?

Sono l’ultimo di quattro figli (tre fratelli, una sorella) di un pastore che ha poi ha lavorato soprattutto nella Diakonia e una maestra elementare che si è dedicata completamente alla famiglia. Sono nato e vissuto per dieci anni a Osnabrück, la città della «Pace di Westfalia» del 1648 che riconosce finalmente la confessione riformata. La famiglia si trasferisce nel 1979 ad Hannover, la capitale della Bassa Sassonia e il piccolo «Vaticano» delle chiese evangeliche in Germania, dove vivo fino alla maturità del liceo classico. Durante gli anni della scuola apprendo in qualche modo l’italiano, da autodidatta, frutto di amicizie e gemellaggi. Gli studi della teologia mi portano a Gottinga, Roma e Lipsia, dove incontro la mia futura moglie Nadia Delli Castelli che si stava laureando nella mia madrelingua. Alla fine del mio «anno all’estero» romano ho fatto sostituzioni pastorali a Pinerolo e Palermo, una prima responsabilità sul campo che ha senz’altro pesato sulle mie future scelte. Nel 1995 ci sposiamo a Pinerolo, da questo matrimonio nascono tre figlie: Salome (24), Sofia (22) e Isabel (17). Dal 1995 sono in servizio pastorale della Chiesa valdese, consacrato al Sinodo del 1997. Dunque: da 25 sposato e da 25 in servizio, di cui dieci anni alle Valli valdesi (Pramollo, Prali e Rodoretto), otto al Sud (Palermo, Taranto, Grottaglie, Brindisi) e – per ora – sette anni a Bergamo. Mancava solo il III Distretto, il centro, per ritrovare una via di mezzo tra le destinazioni finora piuttosto estreme. Oltrepassato la soglia dei cinquant’anni è forse ora di trovare un certo equilibrio.

Proprio a questo riguardo, quali ragioni l’hanno indotta a candidarsi al servizio della nostra comunità?

Non so bene che cosa, ma posso dire chi mi ha indotto: l’apposita commissione elettorale (in persona di Cosima Campagnolo) che, rivolgendosi a me, forse senza saperlo, mi ha rivolto vocazione. È vero, inizialmente, avevo risposto di no, ignorando anch’io il filo segreto vocazionale di questa storia che, alla fine, fa incrociare i nostri percorsi. Il dolce invito ha lavorato dentro di me come il seme che richiede il suo tempo, come la parola che in qualche modo è sempre efficace. Più che indotto si potrebbe forse dire sedotto, senza scomodare le dimensioni profonde del profeta Geremia, ma le radici del nostro ministero sono in qualche modo sempre lì. Ero davvero troppo giovane, quando nel 1997 qualcuno mi aveva già proposto di candidarmi per IV Novembre. Momenti e incontri che mi hanno lasciato un buon ricordo di questa chiesa: dalle Valli portavo i catecumeni per una gita di studio a Roma, godendo dell’ospitalità delle famiglie pastorali; la lettura di Le mie memorie di Giovanni Rostagno mi avevano letteralmente portato a vivere l’evangelizzazione di un tempo in quell’angolo di via IV Novembre; la chiesa in festa per il matrimonio di Giulia e Emanuele mi avevano fatto sentire lo spirito fraterno e gioioso della comunità, frutto di una predicazione e un’organizzazione della vita comunitaria radicate in un insegnamento apostolico sempre riformato secondo la Parola del Signore. Lo dico con riconoscenza al collega Emanuele Fiume al quale mi lega un profondo accordo teologico, di stima e di amicizia.

Certo, il luogo in cui si trova la chiesa di IV Novembre non è secondario, e ha ovviamente esercitato anche su di me la sua forza di induzione (o di seduzione). Non sono solo un figlio della Riforma (i miei nonni paterni sono nati a Eisleben, come Lutero), ma anche il fascino della città di Roma ha accompagnato le mie letture e i miei studi. Da studente a Lipsia guadagnavo qualche soldo con l’accompagnamento di gruppi di studio a Roma. È affascinante poter riprendere una storia iniziata trent’anni fa, non solo in una prospettiva romantica di studi classici e storici, ma di vivere la fede e la testimonianza del Cristo, condiviso con sorelle e fratelli, provenienti da vicino e da lontano, in una cattolicità evangelica, protestante, al centro, nel cuore di questa città.

Quale lascito, quale bagaglio spirituale e umano porterà con sé dal suo ministero a Bergamo?

È presto, troppo presto, per dirlo. Sono ancora dentro, nel pieno ministero pastorale in una Bergamo così pesantemente colpita dalla prima ondata di questa pandemia che ora si vive, sebbene con qualche anticorpo in più, con molta insofferenza e incertezza. Detto diversamente: non ho ancora fatto i bagagli. Forse solo dopo, dopo averli fatti e esserci trasferiti, si scoprirà, nella nuova situazione, nella nuova sfida, quale sia stato quell’altro bagaglio che ci accompagna segretamente ovunque siamo e andiamo, e che, altrettanto segretamente, ci trasforma. La storia è così: dopo si capirà qualcosa, solo dopo, guardando indietro; mentre siamo dentro, appunto, siamo dentro. Questa considerazione del dopo è anche il segreto del giudizio universale, che avverrà solo dopo, alla fine dei tempi. Ma ritorniamo alla domanda che merita almeno una risposta in previsione. Con la città di Bergamo, profondamente amata dai suoi abitanti, si diventa un tutt’uno. C’è una forte identificazione, anche da parte della nostra chiesa, con il territorio, con la città. La mentalità è come il territorio: molto marcata, montanara, mercantile. È una roccaforte con una vita molto ricca al suo interno. Così anche la nostra chiesa: una grande ricchezza di culture e spiritualità diverse. Una ventina di nazioni e denominazioni evangeliche diverse tenute insieme da una chiesa riformata, da poco di casa nell’ordinamento valdese. Senz’altro l’umanità e la spiritualità del gruppo ivoriano o degli studi biblici ghanesi, l’intenso lavoro con i giovani nella «cucina catechetica», le gite e le tante àgapi per tessere una comunità di persone socialmente, culturalmente e spiritualmente così diverse fra loro, ma aperte verso l’esterno, mi hanno formato, ancora una volta ri-formato, comunque lasciato un ricordo, un’impronta importante. Il lavoro con le persone anziane nella nostra casa di riposo era (perché sono morti in tanti, troppi) fondamentale per il mio ministero. Lo stile bergamasco, molto servizievole e pratico, ti dà un buon insegnamento per amministrare e gestire efficacemente, senza entrare troppo in personalia. Il lavoro in squadra, la formazione del ministero dell’anziano/a di chiesa, ma in questo modo anche quello del pastore, si ritroverà senz’altro un giorno tra le tante altre cose in questo bagaglio per ora ignote. Ma ciò che ci portiamo dietro non sarà mai solo un bagaglio, ma le tante persone che ci restano nel cuore, e dietro ogni parola biblica che abbiamo condiviso con loro, in situazioni di gioia e di dolore, anche molto personali. Rimangono cioè nella Bibbia che portiamo con noi. Ecco la comunione dei santi che è sempre con noi, e che cresce sempre.

Vi sono progetti pastorali che, a Roma, avrebbe desiderio di avanzare? Magari antichi propositi, finora costretti a rimanere tali?

Sono tentato a rispondere di no. Per ora non ci sono progetti pastorali, salvo il progetto, appunto, pastorale: diventare anzitutto un buon membro di chiesa. Visitare, ascoltare, pregare con le persone, cioè fare cura d’anime. Predicare e insegnare, scuola domenicale, catechismo, formare ministeri con cui esercitare collegialmente quello proprio. Dare il mio contributo, anche pratico, la mia contribuzione ed essere ospitale. Credo che la posizione della chiesa e della casa, le sue stesse pietre, gridino la parola evangelica dell’ospitalità. Di più non oserei dire e non posso nemmeno desiderare. I progetti pastorali a Roma vanno ovviamente fatti a Roma, vivendo la città, e vanno fatti insieme. Non solo per una disciplina protestante interiorizzata che nella chiesa di Gesù Cristo non si prendono mai delle decisioni da soli, ma anche e soprattutto per una buona teologia della Riforma che intuiva già quel che oggi ci insegna la fisica quantistica: tutto è fatto di interazione, di relazione. Il mio progetto pastorale e desiderio personale è questo: cercare buone relazioni, amici, amiche, fratelli e sorelle con cui interagire nel campo vivo e gioioso del Cristo.

«Magari antichi propositi, finora costretti a rimanere tali»: detto bene, pensando a quelli della Riforma e a quello del Risveglio, questi sì che sono e rimangono i nostri propositi, forse costretti a rimanere tali in questo paese, ma continuiamo a proporli con gioia, con convinzione, insieme, cogliendo le sfide ecumeniche, economiche, ecologiche, epidemiche, tecnologiche e quant’altre «sorgeranno a noi vicin» (inno 284,2).

Grazie, pastore, per questo bel tempo dedicatoci. Diamo fin d’ora il benvenuto a lei e alla sua famiglia!

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